Così la Corte europea “salvò” dal Csm il giudice massone
La Cedu interpretò la sanzione del Consiglio superiore della magistratura come un’ingerenza illegittima
I fratelli del Grande Oriente
d’Italia non devono temere ( ancora) nulla: nessuna irruzione della
Guardia di Finanza nelle logge calabresi e siciliane è stata ordinata
dalla Commissione parlamentare antimafia. La faccenda ha a che fare con
la richiesta della stessa di acquisire gli elenchi degli iscritti alle
logge delle due regioni per incrociarli con le inchieste antimafia, in
particolare quelle per rintracciare il latitante Matteo Messina Denaro, e
scoprire se, tra i massoni, vi sia qualche “santista”, ovvero un
fratello con l’affiliazione alla ‘ ndrangheta o alla mafia.
Richiesta che alla Bindi era parsa urgente in virtù di
alcuni elementi emersi dall’inchiesta “Mammasantissima”, condotta dalla
Dda di Reggio Calabria, dalla quale sono emersi punti di contatto tra
clan e massoneria. Ma alla chiusura delle indagini, su 72 indagati
soltanto uno – prontamente sospeso – è risultato iscritto ad una loggia
massonica. Nei giorni scorsi, il Gran Maestro del Goi Stefano Bisi è
stato ascoltato da Rosy Bindi, alla quale ha ribadito che non consegnerà
gli elenchi, pur rimanendo disponibile a collaborare con l’autorità
giudiziaria e con la Commissione antimafia. Che, nei prossimi giorni,
continuerà ad approfondire i rapporti tra mafia e massoneria, ascoltando
i Gran Maestri di altre confessioni massoniche.
A smentire
l’acquisizione coatta degli elenchi è stata la stessa Bindi, ieri a
Milano per la presentazione del primo corso di dottorato di ricerca in
Studi sulla criminalità organizzata: la Commissione, ha spiegato, «non
ha assunto ulteriori determinazioni salvo quella già presa nell’ufficio
di presidenza dell’ 11 gennaio di ascoltare i Gran Maestri di altre
obbedienze massoniche». La proposta di spedire le fiamme gialle era
stata invece avanzata da alcuni membri della Commissione del M5S e, per
il momento, rimane soltanto un’idea.
Ma il punto ancora da chiarire è se sia un diritto o
meno della Commissione pretendere gli elenchi. Una questione che si lega
alla libertà di associazione da un lato e alla legge sulla privacy
dall’altro, invocata da Bisi nel suo rifiuto a consegnare gli elenchi,
preoccupato di una campagna persecutoria a danno dei massoni.
A
garantire la libertà di far parte di una loggia è stata, nel 1997, la
Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Allora al centro
della polemica c’era addirittura un magistrato, categoria delicata per
la quale era stato sollevato un dubbio circa la compatibilità con
l’affiliazione a logge massoniche.
La Cedu, però, perfino – verrebbe da
dire – per loro ha ribadito la libertà di associazione, condannando
l’Italia a risarcire il magistrato, sanzionato dal Csm. Per la Cedu, il
Csm ha violato l’articolo 11 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, ovvero la libertà di riunione e di associazione,
interpretando la sanzione comminata dal Csm come un’ingerenza
illegittima nelle libertà del magistrato.
Insomma, l’esercizio delle
funzioni giudiziarie, afferma la Corte, non è incompatibile con
l’affiliazione alla massoneria, nella misura in cui questa non è
un’associazione segreta. Il caso risale al 1993, quando l’allora
ministro di Grazia e Giustizia promosse un’azione disciplinare nei
confronti di Angelo Massimo Maestri, all’epoca giudice al tribunale di
La Spezia. Maestri si era iscritto al Goi nel 1981, affiliazione rimasta
attiva fino al 1993, pochi mesi prima del provvedimento disciplinare.
Un’affiliazione che per il Csm avrebbe menomato la sua credibilità di
magistrato e il prestigio dell’ordine giudiziario nel suo complesso. Nel
1995, il Csm censurò il comportamento di Maestri, evidenziando
l’esistenza di un conflitto fra l’affiliazione alla massoneria e
l’appartenenza alla magistratura.
A preoccupare il Csm era lo scandalo
della loggia P2, che portò alla promulgazione della legge Spadolini, che
vietò, di fatto, le associazioni segrete. Una sanzione confermata anche
dalla Cassazione e che spinse Maestri a presentare ricorso alla Cedu.
Per la Corte europea, però, la giustizia italiana aveva limitato la
libertà di associazione. Una sentenza che sembra dare ragione a Bisi.
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