lunedì 23 marzo 2009



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Non erano ladri di biciclette.-
Ricordando quel Maestro di mio Padre

Andavamo a Roma al venir dell’estate,
a trovar quei tuoi romani, ti ricordi?
Quando il sole da noi è così cocente
e la frescura la trovi solo nel bel monte
che a sovrastar vi domina l’Onnipotente.

Quanti sogni in quei viaggi,
si diceva d’attraversar il continente,
col vestito nuovo tale agli emigranti,
coi loro sogni nel fardello , che si dipigean,
fra le rotaie del lungo treno e nella confusa mente.

Spesso in quel treno nascea l’amicizia,
e tu… a dir di me come d’un piccino ritrovato,
mostravi l’orgoglio tuo del lavor di maestro guida,
mentre negli occhi tuoi s’effondea una luce irradiante
come a chi ha trovato la fortuna vera.

Andavamo a Roma, quando si dicea di essa
“Città Aperta”, a scoprir delle mura le rovine
e l’antiche gesta de Romani e de Sovrani,
delle fontane e de simboli tutti, di quel tempo andato,
che l’uomo ha tramutato in conoscenza.

Andavamo a Roma, città eterna, dove il progresso
avea fatto prima a prender possesso di quella giovinezza,
che, della Belle Epoque ,si narra, fosse l’indirizzo
del giovine primiero in cerca d’avventure e dell’amore vero,
che nasce e s’armonizza assieme alla bellezza.

Tutto quanto ti arrideva;
Era il premio tuo per i traguardi miei;
Era tutto ciò che mi donavi senza tornaconto,
e Tu, insolito architetto d’un progetto,
continuavi frattanto a vivere sognando.

Salvatore Casales

12/06/07 - Ore 22.32.32

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