
15 novembre 2008
POLITICA
DEONTOLOGIA POLITICA E DEMOCRATICA : SOLO NEGLI STATI UNITI D'AMERICA.-
dall'ANSA.IT riporto l'articolo dell'11-11-08 di cui sotto :
"BUSH IL COWBOY, USCITA DI SCENA DA GENTILUOMO
di Cristiano Del Riccio
WASHINGTON - Il presidente George W. Bush, entrato alla Casa Bianca con l'irruenza di un cowboy, intende uscirne con l'eleganza di un gentiluomo. Bush non ha perso occasione, negli ultimi giorni, per sottolineare la sua determinazione nel favorire un passaggio di consegne più fluido possibile tra la sua amministrazione e quella del suo successore, Barack Obama. Una determinazione ancora più ammirevole considerate la palate sui denti prese dal presidente americano, nella lunga campagna elettorale, non solo dal partito rivale di Obama ma anche dal suo partito, quello repubblicano. Così Bush ha continuato a sorridere a denti stretti mentre i democratici, guidati da Obama, continuavano a distruggere i suoi otto anni alla Casa Bianca indicando nella sua 'politica fallimentare' la causa della crisi globale che ha travolto i mercati e le economie del pianeta. Per non parlare della politica di Bush sull'Iraq, sull'Afghanistan e su tutto il resto. Al coro delle accuse si sono uniti con gusto i repubblicani che hanno spesso rincarato la dose, fiutata la voglia di cambiamento dell'elettorato, tenendo il presidente a distanza (come un appestato) durante la campagna e facendo il suo nome solo per dire, come il candidato John McCain, "io non sono Bush" o "la mia amministrazione sarà ben diversa da quella di Bush". In assenza di un vicepresidente pronto a candidarsi, come è accaduto molte volte in passato, si è creato uno 'strappo' tra l'amministrazione in carica e la campagna per scegliere quella futura lasciando l'inquilino della Casa Bianca senza un solo difensore, neanche un avvocato d'ufficio, riservato dalla legge Usa anche ai peggiori criminali. In questa situazione Bush, dopo la vittoria di Obama, avrebbe avuto ogni ragione di risentimento per essere stato messo così platealmente alla gogna in una elezione che si è trasformata in un referendum sulla impopolarità del presidente Usa. Ma fin dal suo primo commento al risultato delle elezioni Bush ha mostrato l'intenzione di lasciare la Casa Bianca con un comportamento da gentiluomo: ha sottolineato il significato storico del trionfo di Obama e descritto con tono eloquente l'immagine carica di emozioni e simboli dell'ingresso della famiglia Obama alla Casa Bianca, come primi cittadini d'America. E quando gli Obama sono giunti ieri in visita, avvenuta insolitamente a ridosso delle elezioni proprio su sollecito di Bush, il presidente americano è stato generoso di pacche sulle spalle e sorrisi con l'uomo che per due anni ha fatto tutto ciò che era in suo potere per criticare la sua presidenza. Certo, le ferite della acrimoniosa campagna non sono ancora rimarginate. Ne ha fatto un raro accenno ieri la portavoce della Casa Bianca Dana Perino: "Il presidente ha evitato di proposito di lasciarsi coinvolgere nella campagna - ha detto - anche quando è stato per noi molto duro lasciar passare gli attacchi senza rispondere". Ma nei prossimi giorni, ha anticipato la portavoce di Bush, il presidente intende "riesaminare" alcune di queste accuse rimaste finora senza difesa. Ma lo farà senza polemica. "Pensando alla Storia", ha sottolineato la portavoce. Il cowboy, posata la pistola, si è trasformato in un gentiluomo deciso a lasciare un buon ricordo nella sua uscita di scena dal palco della politica."
Il mio commento :
Non può sottacere l'amara considerazione,dopo l'attenta lettura dell'articolo di cui sopra,nel constatare come un antagonismo partitico e sull'attuale governo,abbia infranto le norme fondamentali di comportamento che sono aduse in una libera democrazia.
Cristiano Del Riccio,nella sua esposizione ,molto sottile,non ha ,volutamente, posto in essere alcun commento che ponesse all'evidenza del lettore ,la totale differenza etico-comportamentale che vige nei nostri politici italiani.
Ma io non sottaccio, e se avvolte ho pensato, incautamente,ad un governante americano che,fino ad oggi, ha condotto gli Stati Uniti d'America allo sfacelo,é perché non ritengo si possa giustificare una ragion propria(di stato) con la guerra ,perché l'azione di rivendica,nella mia cultura cristiana, si oppone alla azione devastatrice che ,con la guerra ,il sangue riverso da gente innocente, non rientra nelle vene per ridare la vita ai tanti deceduti senza conoscerne le motivazioni.
Ma il mio commento trascende la considerazione sull'0perato del Presidente Bush,in quanto riverso esclusivamente a manifestare un dissenso avverso un tipo di politica che,in Italia non ha eguali.
Si legge,nell'articolo di Del Riccio come l'azione del presidente Bush,stia favorendo l'ingresso cordiale di Obama alla Casa Bianca. Un conportamento inverosimile, se si pensa al trattamento diffamatorio usato da Obama,durante la campagna elettorale, per produrre la evidenza di una politica sconveniente e del tutto negativa, del suo predecessore, al suo progetto di rinnovo degli States.Orbene ,in Italia,assistiamo al contario di tutto, oggi riteniamo essere democrazia,ma ne siamo certi?
Fomentiamo e speculiamo ,con la disinformazione, i ragazzini, i giovani,i lavoratori ,i pensionati,da indurre tutto il popolo italiano a ricredersi sul consenso riverso ai nuovi governanti, a ricredersi su quelle figure che ritenevamo essere il patrimonio delle cognizioni basilari.
Conduciamo il lavoratore alla piazza per fomentare disordini d'ogni genere ,anche verso chi vuole studiare,chi intende recarsi al posto di lavoro o desidera vivere con la convinzione di stare in uno stato democratico.
Illustri e paventati esponenti del Partito Democratico,diffondono pretestuosi appelli contro i Politici che,ricevuto un consenso dagli elettori,oggi sono in uno stato di disagio che viene cagionato dalla opposizione.
Illustri lettori d'ogni censo e casta non ritengo possano appellarsi a democratici,perchè tale non é il loro comportamento,tale non é il linquaggio etico-comportamentale degli uomini che dovrebbero sedere sugli scanni più alti della società.
Ebbene sì ,allora ben venga la lezione americana ,nel segno di quel comportamento raro negli uomini che credono nei valori della democrazia ,di quest'atto,oltreché assumerne l' insegnamento,in molti lo dovremmo meditare vieppiù su ciò che é bene o male per il proprio paese.
L'America,é un popolo democratico,l'Italia probabilmente é ancora agli albori per assumere atti concreti che,l'uomo deve manifestare anche quando esce di scena.
Tanto darebbe dignità a se medesimo ed a tutti quelli che ha rappresentato.
Ho detto
Aaronn
Un commento su " ALITAGLIA di O.Bartoli. " da: Letter from Washington DC.-
Carissimo O.Bartoli.
Nel leggere il suo articolo "Aritaglia" non riesco a sottacere al suo sindacalismo di prodiana memoria. Se , prima pensavo ad una sua legittima e democratica esternazione,d'ulivo-ideal,adesso nel leggere i suoi articoli, in essi, percepisco un vero accanimento avverso l'attuale politica che gli italiani si sono voluti dare in un legale consesso popolare.
E, come si soleva dire un tempo a scuola che,ad ogni azione corrisponde una forza uguale e contraria, io le dico, con mero rispetto,che Ella è l'incarnazione specifica dell'antico e concreto detto। Nello specifico dell'articolo in questione,mi permetto, non con mie considerazioni ,ma riportare un articolo, oggi letto sul quotidiano "Corriere della sera" di Dario Di Vico, attraverso il quale informa in maniera dettagliata della vicenda "Alitalia,"che gliene consiglio la lettura. Cordiali saluti
Salvatore Casales
http:/haronn.blogspot.com
http:/Aaronn.ilCannocciale.it
Corriere della Sera > Economia > «La nuova Alitalia? Né a destra né a sinistra»
«Da sempre ci muoviamo così senza badare al colore della coalizione che governa il Paese — dice l'amministratore delegato di Banca Intesa Sanpaolo —. Chi sia il presidente del Consiglio e quale la maggioranza che lo sostiene, al fine delle nostre decisioni è irrilevante. Anche al governo Prodi abbiamo offerto la nostra collaborazione sul dossier Alitalia, ma non si sono create le condizioni».
MILANO - «E' un piano serio, è un piano che può permettere ad Alitalia di tornare a competere e crescere sul mercato. E' un piano difficile, perché difficilissima è la situazione in cui si trova Alitalia. Non è paragonabile al piano di Air France, perché quest'ultimo faceva scomparire Alitalia come azienda autonoma e comunque era prima della crisi del petrolio che ha fatto fallire decine di linee aeree e che la Iata definisce paragonabile a quella post 11 settembre. Anche il presidente di Air France, Spinetta, mi ha confermato che la loro proposta sarebbe stata del tutto inadeguata a risanare Alitalia alla luce degli eventi successivi. In ogni caso se ci saranno offerte migliori il commissario le valuterà sicuramente».
Ma cosa qualifica il piano rispetto alle precedenti ipotesi?
«Il raggiungimento, grazie ad AirOne, di una dimensione sufficiente per il rilancio del vettore sul mercato non solo domestico, ma anche internazionale. La produttività e un servizio che saranno in linea con i migliori concorrenti. Il completo rinnovo della flotta unito al ridisegno del network per soddisfare le esigenze del mercato italiano. E poi una grande alleanza internazionale».
Eppure la critica che vi viene rivolta è di far arretrare la cultura di mercato.
«Al contrario, è un piano di mercato ed è finalmente una privatizzazione di Alitalia da tanti anni tentata e mai riuscita. Credo nel libero mercato e credo di aver contribuito allo sviluppo della concorrenza sia ai tempi della telefonia mobile, che alle poste, che in banca. Se oggi l'Italia ha due banche tra le prime del mondo è grazie alla formidabile iniezione di concorrenza che si è saputo introdurre nel settore. Privatizzazioni e liberalizzazioni che hanno portato al consolidamento, alla crescita e a uno standard di innovazione mai viste precedentemente».
Ammetterà che il rilancio dell'Alitalia avviene però sotto il segno della cultura dei campioni nazionali e della deroga alle norme antitrust.
«Ogni settore ha le sue regole del gioco e non esistono schemi di privatizzazione validi per tutti. Ogni grande compagnia europea è prima di tutto campione nazionale a casa propria, con posizioni dominanti che arrivano in qualche caso al 90%, come in Francia. La nuova Alitalia arriverà a meno del 60% ed in ogni caso l'Antitrust vigilerà. Se poi lei si riferisce alla tratta Roma-Milano il vero concorrente è il treno che in un paio di anni potrà raggiungere anche il 50% del mercato».
Il rischio però è che si tratti di una privatizzazione pagata dai consumatori.
«Non sarà così. Il nostro piano è nell'interesse sia dei consumatori sia dei cittadini. E' nell'interesse dei consumatori perché migliora il servizio e aumenta l'efficienza. Tiene conto anche degli interessi della comunità nazionale. Salvaguardare l'italianità della compagnia di bandiera serve a rafforzare le chance dell'Italia in campo turistico e renderla più aperta agli scambi e all'internazionalizzazione. Sono valori economici anche questi».
Italianità? Ma Air France o Lufthansa o British Airways potrebbero fare un calcolo di questo tipo: mettiamo un piede dentro pagando solo il 10% e poi domani facciamo il colpo dando un po' di soldi agli imprenditori e ci prendiamo tutto. Nel frattempo il "lavoro sporco" lo avranno fatto gli italiani. Qualcuno è arrivato a evocare il paragone con l'ingresso di Telefonica in Telco.
«A parte che l'operazione Telefonica- Telco aveva ed ha una sua logica di cui non ha senso parlare in questa sede, il paragone è comunque sbagliato. La stragrande maggioranza del capitale di Alitalia resterà in mani italiane e tutti gli azionisti hanno accettato di vincolarsi per cinque anni. Noi abbiamo creato le condizioni perché nel 2013 arrivi una compagnia tricolore viva, più efficiente, più competitiva. A seconda di come sarà l'industria del volo allora sarà possibile tracciare il miglior futuro per questa compagnia».
Si dice che gli imprenditori che sono entrati in Alitalia hanno realizzato una sorta di scambio con la politica. Eugenio Scalfari lo chiama "imbroglio". Puntano una fiche sugli aerei ma intanto ricavano migliori condizioni nelle concessioni autostradali, fanno il pieno dei lavori dell'Expo e godono di tanta tanta benevolenza governativa.
«E' una insinuazione sbagliata, pregiudiziale e non vera. Tutti gli azionisti hanno esaminato con grande attenzione il piano ed hanno deciso di investire perché lo apprezzavano come imprenditori e per i risultati economici che si propone di raggiungere. Certamente tutti hanno dato importanza anche al fatto di poter contribuire ad un progetto utile per il nostro Paese, ma la valutazione fondamentale è stata per tutti di tipo imprenditoriale. Guardando la lista di investitori, la maggioranza non ha neanche rapporti con il mondo pubblico».
Ma la figura di Roberto Colaninno primus inter pares non rischia di compromettere l'equilibrio della compagine azionaria?
«Tutti si sono riconosciuti nella scelta di nominare Colaninno presidente e Sabelli amministratore delegato. Sabelli ha condiviso fin dall'inizio le scelte del piano e ha contribuito alla sua messa a punto. Quando anche Colaninno si è aggiunto alla squadra si è potuto riformare un tandem che ha già conseguito grandi risultati in altre operazioni. Contiamo poi sul contributo di tutti gli azionisti e, in particolare, saranno importanti la competenza e le professionalità apportate da Carlo Toto. Senza AirOne l'operazione non sarebbe stata possibile e non avremmo le dimensioni necessarie, gli aerei, la quota di mercato per riuscire».
Quale sarà il ruolo di Intesa?
«Nelle ultime settimane abbiamo svolto un ruolo strategico di pianificazione e coordinamento del progetto. A questa prima conclusione positiva si è arrivati innanzitutto grazie all'impegno di Gaetano Micciché e del suo gruppo di lavoro e poi di tutti gli imprenditori che hanno creduto in questo progetto. Ora come Intesa Sanpaolo assumiamo il ruolo di azionisti insieme agli altri».
E il dibattito interno al gruppo Intesa Sanpaolo come prosegue? La stampa ha parlato di visioni diverse tra il Consiglio di Sorveglianza e quello di Gestione con il timore da parte del primo di favorire eccessivamente il governo Berlusconi.
«La dialettica è sempre utile per arrivare a decisioni giuste e condivise. Sia il Consiglio di Gestione che quello di Sorveglianza hanno interpretato al meglio il proprio ruolo e fornito il loro contributo. Tutte le scelte su quest'operazione sono state fatte all'unanimità sia nei due consigli sia nei comitati strategici della banca. Non è mai sorto il problema del cui prodest, ma si è discusso sempre e solo della validità del progetto, così come nei molti altri casi in cui la banca ha impegnato del capitale per rendere possibili grandi progetti di ristrutturazione e rilancio di aziende italiane».
Un indirizzo che avete seguito e seguirete con tutti i governi?
«Da sempre ci muoviamo così senza badare al colore della coalizione che governa il Paese. Chi sia il presidente del Consiglio e quale la maggioranza che lo sostiene, ai fini delle nostre decisioni è irrilevante. Anche al governo Prodi abbiamo offerto la nostra collaborazione sul dossier Alitalia, ma non si sono create le condizioni ».
A suo tempo la banca sostenne la proposta d'acquisto da parte di AirOne.
«Seguiamo la vicenda da due anni. In una prima fase abbiamo sostenuto l'offerta AirOne ma non si è creduto nella bontà del nostro piano e non siamo stati ammessi neanche alla due diligence. Nella fase successiva in cui la crisi di Alitalia si è aggravata e siamo entrati in una fase diversa e più critica. La somma Toto più Alitalia non era più sufficiente per affrontare l'emergenza Alitalia e i nuovi prezzi del carburante; servivano altre energie imprenditoriali e le abbiamo trovate. L'Alitalia, per poter attirare capitali, aveva bisogno di un risanamento e riorganizzazione ancor più profonda».
Lei la chiama riorganizzazione profonda ma i suoi critici dicono che si tratta di un revival della vecchia e perniciosa attitudine italiana a privatizzare i benefici e a socializzare i costi. Addossando allo Stato esuberi di personale, indennizzi ai piccoli risparmiatori e quant'altro.
«Penso solo una cosa: il fallimento dell' Alitalia scaricherebbe sulle spalle dello Stato oneri di tutti i tipi. Qualcuno fa finta di dimenticarselo e dimentica anche che la compagnia è stata ridotta in fin di vita da anni e anni di cattiva gestione e di responsabilità diffuse».
Si parla molto in questi giorni di una collaborazione tra il governo di centro- destra e le più importanti realtà imprenditoriali e bancarie del Paese. C'è chi è arrivato a paragonare il piano di risanamento Alitalia alla commissione Attali varata in Francia dal governo Sarkozy. E del resto anche lei in più occasioni e in tempi non sospetti ha sostenuto che una esperienza à la Attali avrebbe fatto bene all'Italia.
«Accetto il paragone almeno in parte. La commissione Attali è stato sinonimo di un impegno no partisan, di interventi economici e infrastrutturali coordinati in vari settori, di progetti di lungo termine che mobilitano risorse pubbliche e private. Anche in questo caso la ristrutturazione di Alitalia non potrà, ad esempio, prescindere da una riorganizzazione del sistema aeroportuale. L'Alitalia non è né di destra né di sinistra. Questo è il nostro modo di lavorare».
Ma la logica Attali può estendersi dall' Alitalia anche ad altri progetti. Senza essere particolarmente originale penso alle infrastrutture…
«Ci sono progetti Paese che vanno sicuramente al di là dei tempi della politica. Ci sono opere nel campo della scuola, della giustizia, dei trasporti che ogni governo dovrebbe portare avanti facendo il suo pezzo di strada. Credo sinceramente che questo sia l'auspicio di moltissimi italiani, che magari non hanno mai sentito parlare di Attali, ma che vogliono vedere i problemi risolti e non ricominciare da capo in una direzione diversa ad ogni cambio di governo».
Non tutti ricordano che in definitiva è stato il sindacato a bocciare il vecchio piano Spinetta e ad affossare l'ipotesi Air France, non teme che possa accadere lo stesso anche questa volta con il piano Intesa?
«Tutti i progetti di risanamento e rilancio che ho vissuto, li ho condivisi con il sindacato. La mia esperienza dimostra che anche in caso di ristrutturazioni aziendali difficili, di fronte a piani credibili, onesti e di sviluppo il sindacato non si è mai tirato indietro. Confido che anche questa volta vada così e che si abbia il coraggio di fare in Alitalia ciò di cui l'azienda ha bisogno e che non ha fatto negli ultimi anni».
Dario Di Vico
01 settembre 2008
September 1, 2008 6:34 AM
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