venerdì 1 maggio 2009



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I RAGAZZI E I SILENZI DEGLI ADULTI
I nostri figli senza maestri

di Isabella Bossi Fedrigotti


Della politica, di ogni suo minimo sussulto, controversia o screzio, si discute per giorni, si ragiona, si polemizza. Dei giovani e giovanissimi, dei loro problemi, dei loro allarmi, della loro violenza, dei terrificanti crimini che riescono a commettere quando ancora, almeno in teoria, devono rispettare l’orario di rientro dettato dai genitori, dopo un momentaneo commento incredulo e sbigottito, si tende, invece, a tacere. E così gli accoltellamenti, le rapine, le aggressioni, gli stupri di gruppo, gli assassini per opera di adolescenti o poco più transitano veloci, giorno dopo giorno, negli spazi delle cronache nere senza che ci prendiamo la briga di riflettere davvero su cosa sta succedendo nella nostra società. Di loro, dei ragazzi, quando li arrestano, si coglie per lo più la freddezza e l’indifferenza, non solo per le vittime ma anche per i propri cari e il proprio destino, quasi che qualsiasi cosa—compreso il carcere — fosse preferibile all’insopportabile noia che li affligge. E sembra specchiarsi, quest’indifferenza, nel loro abbigliamento, sempre uguale, jeans, scarpe sportive e felpa, del tutto indifferente a diversi luoghi e occasioni: casa, scuola, lavoro, pub, sport oppure discoteca.

Vanno e rubano, vanno e accoltellano, vanno e dan fuoco a un barbone, vanno e uccidono un compagno di scorribande, quasi sempre in gruppo, per farsi forza, naturalmente, perché da soli forse non oserebbero; e noi ce la sbrighiamo parlando di «fenomeno delle baby gang», come se il termine straniero minimizzasse la tragicità dei fatti. Ma da dove vengono e chi sono questi alieni crudeli e indifferenti? Da case normali per lo più; anche dal degrado, dalla miseria e dall’emarginazione, ma altrettanto, da case belle, quartieri buoni e famiglie per bene. Potrebbero essere figli di tutti noi, incappati per insicurezza, per solitudine, per noia nell’amico più forte, nel gruppo sbagliato; e si sa che il gruppo ormai conta più della famiglia, per il semplice fatto che la famiglia, nonostante il gran parlare che se ne fa, è oggi più debole che mai. Oltre a essere spesso dimezzata, per cui i ragazzi sono privi della costante ed equilibrante presenza di entrambi i genitori, non è più come un tempo affiancata e sostenuta nel suo magistero dagli insegnanti e da altre figure di educatori come, per esempio, i parroci, per ragioni che a volte risalgono paradossalmente proprio alla famiglia.

Se, infatti, padri e madri—come spesso succede — prendono sistematicamente le parti dei figli contro maestri e professori, è difficile che si crei quell’alleanza di intenti preziosa per l’educazione. E rinunciare a qualsiasi forma di istruzione religiosa è, ovviamente, una scelta rispettabilissima che però priva la famiglia di un supporto non indifferente. Moltissimi sono naturalmente i padri e le madri forti abbastanza per farcela da soli a insegnare ai figli cos’è bene e cos’è male, ma molti sono anche quelli che, invece, non ce la fanno. Ma c’è dell’altro, ed è la profondissima infelicità dei giovani. Perché è certo che sono infelici, lo gridano dietro i loro indecifrabili silenzi, che non sempre riflettono soltanto il comodo, rilassante oppure stanco silenzio degli adulti. È un’infelicità chiusa e senza desideri, peraltro, secondo il geniale titolo del romanzo di Peter Handke, perché non può esserci desiderio dove non c’è speranza.

Ecco, quel che atterra i nostri figli, quel che toglie loro qualsiasi energia positiva, quel che li rende tetri e annoiati e, dunque, disponibili alle trasgressioni più atroci, è la mancanza di speranze condivise. Speranze che molto prima di essere di natura economica sono di natura ideale, nutrimento e carburante indispensabile per i giovani. Anche per noi adulti, ovviamente, perché l’uomo non può vivere senza aspettarsi per domani una sia pur minuscola luce, ma in modo molto meno assoluto e radicale, perché abbiamo ormai imparato bene a difenderci dal vuoto. Speranze —condivise — che una volta riguardavano la politica, per esempio, oppure la religione o la cultura e che adesso, mediamente, s’innalzano fino ai successi della squadra di calcio del cuore o al sogno di finire in tv oppure alla conquista di un certo tipo di abbigliamento firmato e uniforme. Poveri ragazzi, viene da dire, però è questo il piatto che abbiamo preparato per loro, gli esempi che abbiamo fornito, i modelli che abbiamo fabbricato. Ed è un serpente che si morde la coda perché se famiglia, scuola e istituzioni varie oggi si rivelano così deboli, così inascoltate e incapaci di educare è anche perché per prime sembrano aver smarrito nel tempo le ragioni forti del loro essere. I maestri, insomma, i tanto invocati maestri grandemente scarseggiano perché non credono più al loro magistero.
IL MIO COMMENTO :

Non posso non convenire con l'autrice di questo articolo tanto attuale quanto necessario di riflessione.Accettare le nostre colpe di genitori, non vuol significare ,se tutti ne facessimo ammenda sarebbe un positivismo superlativo ,risolvere questo grande dilemma della società attuale.Ma come si fa a ricominciare ,come si diceva una volta,"andando punto e a capo" ?

E se noi andassimo veramente a capo,o meglio se noi ,ai nostri figli, che già sono adulti,dicessimo che la nostra educazione impartita loro é stata tutto un errore solo ed esclusivamente nostro? Avremmo la possibilità ,sempre che tutti ci adoperassimo in tal maniera,di riprendere una società che potesse riappropriarsi di ciò che sono i valori scordati? Non sicuramente riferibile il mio discorso,ai valori conclamati dal "Politico Di Pietro",ma i Valori,quelli che perdurano da millenni e che ,scientemente ,i nostri padri ci hanno inculcato e che vogliono significare rispetto verso gli altri se si desidera un riscontro;educazione e rispetto verso le cose create da Dio,la natura ,gli animali,le cose che l'uomo,con fatica costruisce.

Forse miei cari lettori, d'ogni censo e casta,se avessimo questo coraggio di dire ai nostri figli che tutto o quasi tutto ciò che noi abbiamo loro impartito é stao generato dall'errore più grande che abbiamo commesso che é avvenuto perchè abbiamo preferito valutare ed attenzionare l'arricchimento personale ,il bisogno di acquisire potere personale,tralasciando d'impartire tutt'altra educazione,quella della presenza che i mostri figli avrebbero dovuto ricevere e quant'altro,mentre carpiscono solo quella dei coetanei che ,in una società promiscua , può non essere adeguata . I vizi d'oggi,per taluni ragazzi,assumono valore propedeutico perché,negli anni avanti diventi forza ,caratteristica del divenire super-uomini,mentre invero,rimangono solo persone ai margini di una società .

Siamo stati dei genitori relativi e con noi vi sono ancora attualmente dei maestri che relativizzano il loro magistero non convinti che oggi i ragazzi,i giovani hanno carenze affettive,non ricevono l'attenzione dei propri genitori,purtroppo, in tutt'altre faccende affaccendati,mentre assumono riferimenti sui i beniamini della T.V. del cinema o del cantante più alla moda.

E' necessario riprendere l'antico percorso e capire noi stessi ,prima di divenire maestro e/o genitore; come ? Voi direte ? ..........................Riprendendo ,ciascuno l' originario ruolo che ci appartiene; allora si ,forse, avremo un futuro di uomini migliori.-

Aaronn

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